TERRITORI INTELLIGENTI – 1

TEDx Coriano 18 ottobre 2025

Territori Intelligenti  

Scelte responsabili, Comunità sostenibili

Questa che vedete alle mie spalle è l’immagine di un borgo vuoto.

Finestre chiuse.

Una piazza senza voci.

Un campanile che non segna più il ritmo della vita di nessuno.

Io vengo da una famiglia che non aveva privilegi da offrire, ma valori forti da trasmettere.

Ho avuto un’infanzia felice tra mare e montagna e andavo spessissimo nel paese dei miei nonni, nell’entroterra abruzzese.

Lì le estati erano fatte di piazze vive, giochi condivisi e di una comunità intera che si ritrovava per preparare la festa più importante dell’anno. Dal sindaco ai bambini, dagli artigiani agli insegnanti: tutti partecipavano.

Oggi quel mondo è sparito, e mi ha lasciato una cicatrice profonda nell’anima.

E non riguarda solo i borghi.

Anche nelle grandi città ci sono quartieri che si svuotano, piazze che non uniscono più, comunità che si indeboliscono.

E così anche le aree interne: paesi e territori lontani che spesso chiamiamo le periferie.

Eppure la domanda è la stessa, ovunque: è possibile la vita in periferia, nel mondo delle grandi concentrazioni urbane?

In Emilia-Romagna ho imparato che è possibile. Qui la città non ha cancellato i territori, ma ha imparato a convivere con loro: a prendersi cura tanto del centro quanto della periferia. Ed è questa convivenza che genera comunità.

E non è un fenomeno marginale: secondo la Strategia Nazionale per le Aree Interne, questi territori coprono oltre il 60% dell’Italia e comprendono più della metà dei nostri Comuni, dove vivono milioni di persone.

Il territorio è come un corpo vivo.

Se togli sangue ai quartieri, restano arti senza vita.

Se togli voce alle comunità, restano gusci senza respiro.

Quando sono arrivata in Emilia-Romagna, con una valigia piena di libri e di speranze, ho trovato un territorio che aveva scelto di essere fertile.

Lì quelle radici hanno continuato a crescere e fiorire.

Ho capito così che il talento non nasce mai da solo, ma fiorisce solo quando incontra un territorio che lo nutre.

Il talento e il successo sono connessi all’energia del territorio. Vale per ciascuno di noi, ma vale anche per le imprese che dal loro territorio traggono forza, competenza, storia e senso del futuro.

Un corpo senza respiro non vive.

Un territorio senza comunità non fiorisce.

Aristotele già duemila anni fa diceva: siamo fatti per vivere insieme!

E anche oggi, con tutte le tecnologie che abbiamo, questo è ancora vero. L’intelligenza artificiale elabora dati, l’intelligenza umana può costruire comunità, ma è l’intelligenza collettiva che può salvare i nostri territori!

Ma oggi questo corpo mostra tutte le sue ferite.

Il rischio più grande è pensare che lo spopolamento sia un destino irreversibile, che queste aree siano condannate a svuotarsi, a perdere scuole, sanità, servizi essenziali.

Ma non è così!

Ci sono comunità che resistono, giovani che restano, donne e uomini che vogliono costruire il futuro nei loro luoghi.

Abbiamo trattato i territori come miniere, estratto risorse, consumato energie, incentivato un turismo veloce e senza radici, determinando vuoti e diseguaglianze.

E quando anche le imprese si ritirano, quei vuoti diventano fragilità per tutta la società: meno lavoro, meno presidio sociale, meno sicurezze.

Un territorio abbandonato é un territorio esposto!

E troppe decisioni arrivano dall’alto, senza la partecipazione di chi quei territori li vive ogni giorno.

Ma un territorio non si custodisce solo con le regole, si custodisce con le relazioni!

Ed è qui che entra in gioco la governance, ovvero quella cabina di regia che può trasformare la responsabilità in azione collettiva, la visione in scelte concrete e attivare la partecipazione.

Un territorio intelligente non è quello con più connessioni digitali, ma con più connessioni umane!

E qui dobbiamo proprio scomodare Cicerone che diceva: la cosa pubblica è di tutti, e custodirla è compito della comunità.

E San Basilio di Cesarea, uno dei grandi Padri della Chiesa, IV secolo d.C.,  diceva che la città nasce dall’aiuto reciproco: nessuno basta a se stesso.

Dunque il ruolo della governance è la chiave per orientare le scelte e la partecipazione della comunità.

Ma governance non significa comando.

Significa ascolto.

Significa cura.

Significa decidere insieme: Persone, imprese e istituzioni.

Io, ogni giorno, lavoro con imprese e territori per trasformare la governance in cura della comunità.

Le imprese che sanno investire nelle relazioni con il territorio non solo resistono meglio, ma generano fiducia, sicurezza e maggior valore aggiunto.

E quei comuni capaci di coinvolgere tutto il territorio e le persone che vi abitano in progetti di valore creano maggior benessere.

E lo faccio con strumenti concreti: aiutando a misurare e valutare gli impatti delle proprie scelte, dei propri progetti in chiave intergenerazionale.

Perché la sostenibilità non è una parola astratta: è responsabilità che deve lasciare tracce concrete, nei numeri certo, ma anche nella vita delle persone e dei territori.

I benefici sono concreti.

Per le persone: benessere, inclusione, appartenenza;

Per le imprese: resilienza, attrattività, fiducia;

Per il pianeta: risorse usate in modo sostenibile con capacità di rigenerarsi.

E vi faccio degli esempi.

Santo Stefano di Sessanio, in Abruzzo, un borgo medievale a 1400 metri di altitudine, destinato allo spopolamento, è rinato grazie a un progetto imprenditoriale di albergo diffuso.

Le antiche case in pietra sono state restaurate con un recupero storico architettonico, senza snaturarle, trasformandole in una esperienza unica. Sono così rinati laboratori artigianali, botteghe e attività legate alle tradizioni locali, come la coltivazione della lenticchia.

La comunità ha ritrovato lavoro stabile e nuove opportunità, e il turismo è diventato sostenibile, rispettoso del paesaggio e della storia.

Oggi Santo Stefano di Sessanio è un modello riconosciuto in tutto il mondo: questa è la prova che la rigenerazione è possibile, quando comunità e imprese scelgono di investire davvero sul territorio.

E c’è un esempio che voglio citare, che resta un faro per le imprese non solo italiane: Adriano Olivetti, imprenditore e visionario che ha saputo unire tecnologia e umanesimo.

Forse qualcuno tra voi se lo ricorda, creatore di macchine da scrivere che il mondo ci invidiava.

Adriano Olivetti immaginò una fabbrica diversa da tutte le altre: non un luogo dove l’imprenditore si prende cura dei lavoratori, ma una comunità operante in cui le persone partecipano, crescono, creano cultura. Costruì quartieri, scuole, asili, biblioteche e spazi per l’arte, perché credeva che l’impresa dovesse generare bellezza e progresso umano, non solo profitto.

Secondo la Strategia Nazionale per le Aree Interne ci sono già attivi 124 progetti di rigenerazione in quasi duemila Comuni. La rigenerazione non è uno slogan: è una pratica già in atto.

Se vogliamo costruire comunità, ci sono tre cose che possiamo fare subito in modo semplice.

Primo: cambiamo sguardo. Domani, quando andiamo al lavoro, soffermiamoci per un saluto al nostro vicino di casa.

Secondo: partecipiamo. Sosteniamo un progetto locale, portiamo la nostra voce a un incontro di quartiere, diventiamo parte delle decisioni, anche piccole.

Terzo: responsabilità nella governance. Se sediamo in un consiglio di amministrazione, che sia pubblico o privato, o un consiglio comunale, ricordiamoci che ogni scelta incide non solo sui conti, ma sulla vita dei territori, delle persone e delle attività produttive.

È un percorso non facile, l’abbiamo già detto.

Ma il futuro non è ancora scritto.

Tocca a noi scegliere: consumare territorio o costruire comunità.

E questa non è solo una scelta politica o economica.

È una scelta di civiltà.

Facciamo questa scelta.

Ora!

Tutti insieme!

 

 

 

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