Pachamama. Una consapevolezza che può salvare

img_414919 dicembre 2016. Open Day in Stafer. Momento di riflessione e confronto

Ci sono momenti in cui tutti ci raccogliamo, tenuti assieme da forze invisibili e intangibili che esistono e proprio qui, in queste occasioni, si fanno sentire e sono forti.

Sono i momenti in cui le persone sperimentano e toccano con mano di far parte di una comunità, di essere parte di un insieme e che ognuna di loro ha valore in quanto elemento di un tutto che esiste grazie al contributo di ogni parte. Unica, particolare, irriproducibile.

In questi momenti siamo tutti percettivi: i nostri sensi sono aperti e abbiamo più capacità e volontà di comprendere. Proprio in questi frangenti, è bene restituire. Siamo in Stafer, tutti presenti, e la restituzione di oggi, 19 dicembre, è anche quella della Scuola del Territorio Romagna occidentale e Ravennate.

Un’esperienza collettiva, condivisa, ampia, che ha associato al territorio le sue eccellenze che ha alimentato con altrettanto interesse, conoscenza, curiosità. Un laboratorio di discorsi, riflessioni, apprendimenti che hanno portato i partecipanti e le imprese a crescere insieme e portare anche a crescere il territorio stesso. Perché le esperienze cambiano e fanno cambiare. Portano valore, in tutti i sensi. Il video della Scuola del Territorio ha mostrato i momenti più intensi e di emozione, facendoci sentire tutta la spontaneità di qualcosa di autentico e di vero. Come volevamo che fosse.

img_4148Una nuova strada

“Papà, lo sai cosa c’è di più meraviglioso nella vita?”

“Il tuo papà?”

“No, papà. Vivere.”

Quando si applica questa logica, allora si è fuori dalla logica, intesa come rigida procedura mentale, e si è oltre. Si attinge allo spazio del cuore, dei sentimenti, della vita come gioia e come risorsa piena e di valore, di per sé.

Thomas Torelli alla conclusione della proiezione del suo  documentario Pachamama, ci lascia con questa riflessione. E aggiunge: “Il tempo è della mente, del cuore, delle emozioni.” Continua. Ci dice che il tempo dovrebbe riconnettersi con la natura e non seguire convenzioni umane puramente costruite sulla e sopra la natura. E infine esprime il suo punto di vista così: “L’uomo di questo millennio è pronto per intraprendere la nuova strada. Quella di un altro mondo”.

Ascoltare queste parole produce in noi una piccola rivoluzione: ci sembra quasi tutti di stare pensando alla stessa cosa, ma solo ora che l’abbiamo sentita dire ne abbiamo piena consapevolezza. Ci sembra quasi che tutte le domande che ci stavamo facendo avessero una risposta mancante e queste parole ne siano la risposta. E non solo queste. Parliamo, a questo punto, di Pachamama.

Pachamama. Madre Terra. Un film documentario di Thomas Torelli, che ritroviamo anche questa volta comunicativo, convinto, fermo nella sua visione del mondo, che arriva anche a noi: limpida, chiara, diretta.

La capacità di comunicare senza filtri, il talento di costruire un messaggio complesso, frammentario eppure unito, intrecciato nelle voci di esperti e persone che apportano ognuno il suo carico di ricchezza conoscitiva al problema che Torelli vuole affrontare: Madre Terra, appunto.

Per essere uomini tra gli uomini

Prima di assistere a Pachamama, un video di Velasco, che ci insegna qualcosa. Ci illuminano le sue parole, ci colpiscono come verità a cui non avevamo mai pensato. Velasco parla dimetafore, parla con le metafore. Lo schiacciatore e l’alzatore nella pallavolo sono ruoli come i ruoli che ogni giorno spettano noi e agli altri. Che cosa accade, ce lo racconta. “Voglio una schiacciatore che schiacci bene le alzate brutte.” Perché ognuno ha il suo ruolo, ognuno restituisce agli altri e a se stesso il meglio nello svolgere un ruolo. E non si può risolvere ciò che è semplice, ma ciò che ci compete, qualunque cosa essa sia. Questo per Velasco è il lavoro di squadra, la comunità, l’organizzazione: è ogni volta in cui qualcuno svolge al meglio ciò che deve. E risolve l’armonia per tutti e di tutti. Questo significa, in senso ampio, essere uomini.

Essere o non essere

Che cosa vuol dire avere fede in se stessi. Un secondo video, tratto da Quando l’amore brucia l’anima, (2005), film sulla storia di Johnny Cash. La forza della metafora per immagini non si lascia attendere. Johnny Cash, mito assoluto, durante l’audizione. Con la sua band canta le canzoni davanti a un discografico. Un flop. Il discografico gli lancia ancora una possibilità. Cantare qualcosa che sente realmente, qualcosa che canterebbe se sapesse che quella, esattamente quella, fosse la sua ultima chance di vita. Perché la fede bisogna averla in se stessi.

Johnny Cash allora cambia canzone, canta una canzone in cui crede davvero. Ci crede talmente tanto che quando inizia a cantare è solo, poi gli altri lo seguono, suonano seguendo la sua melodia. Questo è il senso dell’avere fede che altro non è se non credere. Essere è la capacità di creare un percorso e condividerlo. Di seguire la sua direzione perché allora altri la seguiranno.

Pachamama

Un intreccio di punti di vista, che lievita intorno a un tema forte, urgente, su cui in molti ci rivolgiamo domande che spesso non sembrano trovare risposta: sono tante le verità che ci vengono raccontate intorno alla natura, nostra madre, che oggi però in tanti approcciano in modo scientifico, tecnico, meccanicistico, come se essa fosse qualcosa di separato, freddo, meramente organico. Quando la natura, lo sappiamo tutti, è Vita. Esattamente al pari di noi.

Riflessioni cucite assieme in connessioni virtuose, circolarità di approcci che, sebbene diversi, ci mostrano infine una conclusione unica, concorde, sulla stessa linea: un teologo, esperti delle culture dei nativi Americani e Maya, e non solo questo, tutti gli studiosi coinvolti ci testimoniano la loro grande preoccupazione, prima che per il nostro pianeta, per l’Uomo.

Le immagini raccontano. Rispondono a domande che ognuno di noi ha in se stesso.

La storia occidentale è una storia di conquista: e se è vero che a ogni azione corrisponde una reazione, tutto quanto torna nelle forme che lo hanno reso quanto è stato, invertendo il meccanismo e rivolgendolo all’opposto. Questa è la storia. Il presente, per molti versi, mostra il suo assurdo. Ciò che avviene nel macro, avviene anche nel micro, anche questa è una regola cosmica.

Spostiamo il focus sul lavoro: oggi il lavoratore deve contemporaneamente essere pieno di iniziativa e obbediente, sperimentando una contraddizione evidente che genera lo stare male, ma il tipo antropologico odierno è contento di essere infelice. Perché è simile a tutti quelli che conosce. La crisi è un espediente che serve a mettere ansia: esplica una funzione che contribuisce a rendere obbedienti. L’Occidente è questo: secondo il regista non ha altra via da percorrere al momento.

Quello che serve per uscire da questo assurdo è un nuovo paradigma morale che mostri come il senso della vita risieda nella correlazione. Occorre invertire i termini: rovesciare prima i paradigmi esistenti. Noi abbiamo bisogno della Terra, non la Terra di noi. Noi apparteniamo alla Terra: non è vero che la Terra appartiene a noi.

Che cos’è il tempo

Noi applichiamo categorie, perché ciò è aristotelico. Questa è una convenzione, ma la realtà è una soltanto. Esistono allo stesso modo fenomeni inspiegabili che i nativi americani reputavano sacro: noi cerchiamo di dare una spiegazione a tutto e di piegare tutto alla nostra comprensione.

I tempi per le popolazioni come i Maya erano ciclici: tornavano a ripetersi secondo un concetto circolare di armonia. C’è armonia quando tutto è sintonizzato e correlato, quando uomo e natura sono in relazione fra loro e con l’ordine cosmico.

Questa consapevolezza del tutto in correlazione col tutto l’Occidente e noi l’abbiamo perduta: tutto è lineare, separato, noi siamo simili a Dio e pretendiamo diritti su ciò che è stato creato. Sono state la religione e la scienza a infrangere questa consapevolezza per primi.

Proprio questa consapevolezza è quella che dobbiamo recuperare: è il pensiero circolare, dell’armonia, che congiunge in relazione tutti gli esseri viventi.

In questo caso, secondo questo nuovo paradigma, chi è l’altro da me? L’altro sono io allo specchio, l’altro è un altro me. Questo è il tempo di invertire il progresso: di recuperare il tempo libero in senso forte e farne l’occhio con cui guardarsi intorno per tornare a acquisire questa consapevolezza.

Occorre ridefinire la felicità, coniare la pace, cambiare il modo di ragionare e di essere. E, soprattutto, camminare nella bellezza: che dà ordine alle cose e alla mente.

L’uomo si è perso da se stesso: bisogna essere consapevoli per tornare a essere uomini parte di un tutto. Un tutto necessario e di cui facciamo parte anche noi.

Che cosa è perfetto?

Solo questa consapevolezza profonda porterà l’uomo a salvarsi. E salvarsi è l’unica via di fuga da questo presente in impasse ecologica e umana. 

Thomas Torelli, dopo averci parlato con le sue immagini, risponde a una domanda. Occorre davvero chiedergli come possa applicare la consapevolezza in cui crede alla sua vita. Se sappiamo questo, possiamo imparare da lui. Perché in fondo abbiamo tutti bisogno di concretezza e concretezza vuol dire anche darci un piccolo libretto delle istruzioni per trasformare questa verità in qualcosa di tangibile.

Thomas ci dice di considerare che tutto sia perfetto così com’è. Ciò che è è perfetto. Essere consapevoli di questo è cambiare il paradigma. Bisogna andare oltre, come fanno i bambini. Lasciare andare. E convincerci che tutto sia meraviglioso, così come lo vediamo noi.

Abbiamo inaugurato l’anno scorso e oggi ripetiamo l’esperienza di portare visibilità e confronto sulla sostenibilità d’impresa come contributo essenziale per la coesione sociale del proprio territorio.

Buone Feste a tutti!

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